L’odore delle rose - Alessandro Niccoli - Europa Edizioni -



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  Prefazione 
Da un punto di vista tecnico, L’odore delle rose è definibile come un prosimetro, ovvero un’opera letteraria in cui versi e prosa si alternano in maniera dolce ed equilibrata. Il prosimetro è un genere assai raro nella nostra tradizione; esso trova il fulcro del suo splendore nel medioevo – la Vita Nuova di Dante Alighieri ne è un fulgido esempio –, per poi essere progressivamente abbandonato. Il Niccoli riesce a resuscitarne l’anima, compiendo un’operazione quasi magica: da un lato cioè ne salvaguarda i motivi filosofico-religiosi nonché l’armonia musicale tipici delle origini, da un altro ne attualizza i contenuti e li arricchisce di istanze intimistiche. Vero protagonista del libro è San Miniato, comune toscano che gode di una nobile tradizione teatrale e letteraria – qui Giosuè Carducci ha composto le sue prime opere, come Le risorse di San Miniato al Tedesco – e che deve la sua fortuna anzitutto alla posizione privilegiata che occupa: sorge infatti, immerso nel verde, su un colle a metà strada tra Firenze e Pisa, strategico per il controllo della Via Francigena. Ciò ha fatto sì che, nei secoli, ricoprisse un ruolo determinante da un punto di vista economico, politico e religioso. Eppure l’uomo contemporaneo, nella sua brama di ricchezza, controllo e dominio, sembra aver dimenticato la storia di questo incantevole territorio, una certa ‘geografia del cuore’, procedendo a una sistematica distruzione delle bellezze e delle risorse autoctone, in nome di un progresso che, alla resa dei conti, tale non si è dimostrato, incapace di vincere le sfide poste dalla ‘sostenibilità’. Per questo è molto severo il giudizio dell’autore nei confronti del genere umano, incapace di ascoltare la voce della natura e lo spirito dei luoghi, di rispettare ecosistemi e tradizioni, di respirare 8 all’unisono col paesaggio che lo circonda. È col tracotante ego dell’uomo moderno che il Niccoli se la prende, con una società che ha dimenticato i suoi valori cristiani, che non sa guardare negli occhi il proprio passato e coloro che ne sono testimonianza viva, per trovare dei rimedi a un presente pazzo e irrispettoso delle meraviglie di un Pianeta che l’ignoranza va progressivamente devastando, e che ha le ore contate. E allora, che prospettive può avere l’uomo del futuro, se non sa tutelare la memoria e farne tesoro? D’altronde non c’è da stupirsi di questo scempio, sembra sussurrarci l’autore, considerando che nemmeno per i nostri simili siamo più in grado di provare compassione. Comodamente assopiti dietro i maxischermi che ormai abitano le nostre case, commentiamo distaccati le notizie funeste che quotidianamente ci raccontano della morte in mare di centinaia di migranti in fuga da violenza e tirannia. L’odio è diventato il motore dei nostri pensieri, il denaro il nuovo dio da adorare, l’arroganza e disprezzo per i simili i tratti caratteriali da mostrare con spavalderia. Ma cosa è diventato l’uomo – sembra chiedersi il poeta? Una macchina programmata per annientare tutto ciò che lo circonda, a partire dal sacro nucleo familiare, se pensiamo allo spaventoso numero di femminicidi che l’Italia riscontra. Non a caso proprio alla ‘donna’ è dedicato il testo, nella speranza che dalla loro sensibilità, dall’energia che sprigionano e dalla forza che dimostrano nel sapersi sempre rialzare e ricominciare, possa partire un processo di rigenerazione, di purificazione dello spirito umano ormai marcio e satollo di sporcizia. Il regalo dell’autore a quest’umanità degenere è proprio L’odore delle rose, perché da un libro può iniziare un ‘risveglio’, un libro può essere un atto di presa di coscienza, un seme da piantare nelle menti più fertili, specialmente nei più piccoli che saranno gli uomini del futuro, e che saranno 9 chiamati a giocare la partita più importante, decisiva, per salvare se stessi e una Terra che chiede disperatamente ‘aiuto’. Sapremo ascoltare queste grida? 
   A cura di Giuseppe Palladino



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Dedicato:

Alle persone che navigano il fiume in disparte 
solo per vivere di spirito e di arte 
alle persone giovani del presente 
alla donna che sente 
e a lei sto per dire: tu non sai cos’è l’amore
ma d’improvviso nel suo volto naufrago, amara dolcezza 
rialzo la testa e lo vedo, il mare, nella sua velata gioia 
da lei la imparo, poi anche ad amare
non parlo, contemplo il silenzio
quello che chiamavo noia


PREMESSA

   Il libro è composto da 21 racconti. Sono i capitoli di un testo che li contiene allineati in un filo conduttore, ricerca di uno spirito che è in noi e ci alimenta, ma dimenticato; una reale pienezza che ci faccia superare quel vuoto che tocchiamo e che non è la realtà, di fronte al nostro possibile sentire. Si tratta di un lungo viaggio caratterizzato da un cammino interiore, guardando le cose belle, e poi vedendo oltre. Visioni reali e comuni, che spesso tendiamo a sorvolare. Sorvoliamo i nostri sogni, i nostri sentimenti, per il desiderio di possedere delle cose. Un delitto, di fronte a un possibile sentiero e direzione. Sogni e personalità, che consapevoli o meno, ci sarebbero offerti dall’incontro con la natura, e la via Francigena che l’attraversa (il libro in primis è ambientato sulle colline toscane sanminiatesi), i suoi esseri umani e animali, i suoi suoni. Quel mondo che per gli animali liberi, per uno scoiattolo, una rondine, – se li osserviamo muoversi immersi nel loro verde e blu – è il paradiso terrestre; quello stesso paradiso che narriamo oltre la vita, e che invece devastiamo. Un cammino ispirato da una cultura artistica, architettonica e teatrale millenaria, che ha caratterizzato l’antica città federiciana, e tutti i borghi del nostro paese immersi nella selvaggia Toscana. In questo periodo storico, ritengo che l’uomo (e la donna di oggi, soprattutto la donna), sia più affascinata dalla trattazione della propria condizione esistenziale e del futuro che l’aspetta, viste le grandi incertezze del nostro tempo, piuttosto che da un’attenzione verso il classico ‘romanticismo’ del secolo scorso. Lasciamo giudicare i lettori, in un secondo momento, a libro aperto… se saranno attirati e guidati dalle briglie spi- 11 rituali e romantiche, per entrare nelle sorprese che potranno avere, da tale dimensione… che alla fine è quella, unica, che ci sorregge; dimensione sfuggitaci di mano a causa del disordine valoriale e delle difficoltà materiali del mondo odierno; vincibili solo con l’arricchimento dello spirito. 
L’autore

Cap. 1 
L'uomo del futuro

 L’uomo del futuro Ieri è stata una serata particolare, preludio dell’inizio di un cammino, e tutto inizia con uno dei miei soliti ritardi cronici! Ero entusiasta della serata che di lì a poco mi avrebbe atteso. Era tutto programmato, mi sarei divertito molto, avrei guardato negli occhi per pochi attimi una donna dall’anima antica. Avevo già deciso di abdicare ad una riunione politica dove, con cari amici visionari, si organizza il cambiamento radicale del mondo in una località semisconosciuta allo stesso pianeta, smarrita in mezzo alle campagne toscane, tra colline e daini, per andare a fare una lezione di tango argentino a Firenze da Graciela Rostom, il cui sguardo e maestria di una vita di danza, già mi mettono in ottima impostazione e di buon umore, oltre la quotidiana prigione, che cerca sempre di imbavagliare le mie cellule, frenetiche come libellule. Sono le 5 del pomeriggio, immerso nel mio lavoro in attesa di partire alle 7, sennonché arriva d’improvviso nel mio studio legale un vecchio conoscente che mi chiede di ascoltarlo per fare una causa contro i poteri forti del mondo; lo guardo quasi sconvolto, visto che avevo poche mezz’ore di tempo per finire due ricorsi; dopo un po’ che ascolto il suo racconto e i suoi inviti a visionare siti di fantapolitica, mi balenano per la testa varie soluzioni sul come chiudere il discorso. Non che non abbia a cuore la problematica della prepotenza delle multinazionali, o delle associazioni massoniche mondiali che, con i loro banchieri, tentano giorno dopo giorno di rosicchiare le nostre democrazie e conquiste, fondate su solidi principi di separazione dei poteri a garanzia dei nostri 16 diritti umani, ma le proposte del vecchio amico non le posso accettare, pur dovendole ascoltare! Le vecchie amicizie, quando chiedono andrebbero soddisfatte. Ma dico veloce a me stesso: ‘Le amicizie troppo vecchie e abbandonate per totale divergenza di vedute, vanno soddisfatte?’. Concludevo che non fosse proprio giusto pagare un pegno non dovuto, ma lo stavo già pagando: la seratina aveva a mia insaputa iniziato a mutare direzione. Erano proposte davvero oltre ogni mia possibilità di ascolto, ma beffardamente mi imponevano un distacco da me stesso. Le vecchie amicizie vanno comunque pagate, anche se non vuoi. L’ho pagata. Forse nella mia fretta gli davo una giusta soluzione, meglio non potevo fare per scuotere l’amico. Così successivamente capii, che a volte occorre scuotere forte. Gli dicevo: “Guarda che quello che tu dici, ovvero che lo Stato sarebbe una società per azioni creata in stanze segrete, e che tu non lo riconosci, come pure non riconosci il potere di un giudice, richiamandoti a principi sovranisti, oltretutto, si scontra contro i miei lunghi studi in legge, e con i miei valori di una vita non propriamente di destra, per cui anche volendo, politicamente, non potrei accettare l’incarico”. Ma lui, a tal punto si faceva più invasivo, dall’entusiasmo inventato da chissà quale stregoneria; invasato, assumeva toni aggressivi e autoritari, invitandomi ad aprire altri siti internet a comprova della verità delle sue asserzioni (‘il mondo del sapere moderno’, mi dicevo, girando la testa alla finestra… sigh), di talché decisi di optare per la soluzione più drastica, tra quelle prima pensate come lame a mia difesa: “Sante, ti posso solo consigliare di andare da uno psichiatra”. Niente da fare, come nulla fosse continuava a insistere in modo ancora più eccentrico e agitato, con gli occhi pieni di esaltazione dicendo a voce quasi incontenibile e sempre più autoritaria (a me che non riesco ad accettare da sempre l’autorità urlata, e con una brava psicologa che non ha potuto 17 che prendere atto di questa mia rigidità ineliminabile, cementificata dal tempo) che sì, sarebbe andato dallo psichiatra, ma che voleva un ricorso contro il Comune di residenza per essere riconosciuto come individuo sovrano, al di fuori dello Stato, titolare del diritto di cambiare nome e cognome e di non pagare le tasse a uno Stato che non riconosce. A tal punto, non sapendo come uscire da quella situazione grottesca, frutto del caso o della moderna schizofrenia da elettroinformazioni-magnetiche, inconsapevole che il mio entusiasmo era ormai semi-dimenticato, come della piega che avrebbero preso le prossime 24 ore, tirai fuori dal cappello l’argomento di rottura, tra tutti quelli che avevo poco prima pensato come repertorio utile per uscirne nel più breve tempo possibile, e conoscendo da vecchia memoria l’abitudine dell’amico a fumare erba alla sera, gli dissi: “D’accordo, sono disposto ad ascoltarti e a lavorare su questo caso, solo se tu mi garantisci che non fumerai più canne per tre mesi, dopodiché me ne occuperò”. Fu così che riuscii a farlo andare su mille furie, cosa che quando voglio è per me la più facile da ottenere con chi mi parla addosso, e quindi farlo desistere dalla sua temeraria azione di convincimento. Si alzò di colpo dalla sedia posta di fronte a me in modo impulsivo, agguantò i fogli in un nano secondo e andò via urlando, mandandomi al diavolo, inveendo contro di me e contro tutti sino a fuori dal mio studio e fino in fondo alla strada. Le sue invettive ad alta voce, mi risuonavano come un tango che si riappropriava di me, inconscio però di averlo quella sera ormai perso. Si era ristabilita la pace nello studio, dopo venti minuti di discussione surreale. Purtroppo, la mia concentrazione era scesa al minimo, tanto che mi ero fatto l’idea che la lezione di tango a Firenze fosse alle 10, mentre invece era alle nove. Quindi, con la mia ritrovata calma, finii i miei due ricorsi, andai alle 9 al circoletto davanti al mio studio e chiesi alla ragaz- 18 za dagli occhioni celesti e tristi, ove vi veleggiava sempre un vascello in cerca di un’isola buona, pieni di speranza e voglia di andare avanti, di scaldarmi due pizze… annuì. Dopo un minuto nella mia mente si accese una lampadina: la lezione è alle 9 a Firenze, non alle 10, e adesso sono le 9! Porco diavolo, da qua a Firenze impiego minimo 40 minuti; accidenti a lui, ce l’ha fatta a rovinarmi la serata! Ecco che l’amicizia, qualunque sia, anche andata via, chiede pegno! “Scusa”, dissi alla ragazza, “ho ricevuto una telefonata, sono a cena fuori, le pizze non le prendo più”. Quegli occhioni tristi e lucidi fanno un gentile cenno di sì, tanto gentile che i miei nervi si riassettano subito al loro posto. Incredulo di come la dolcezza di una donna in fuga da misteriose oppressioni possa riuscire a fare questo effetto. Poi, un’altra idea attraversa la mia mente: ‘Perché allora non andare alla riunione politica?’. “Scusa, mi rimetti gentilmente le pizze in forno, non vado più a cena”, e i due occhioni impassibili, sempre più lucidi e ancor più malinconici, ma ora accesi, mi ridicono: “Sì”. Mi richiedo: ‘Come fanno certe persone a dirti tutto e a darti un calore che tutto cancella solo con gli occhi? Fossero così i miei clienti, amerei davvero in pieno il mio lavoro!’. Dopo dieci minuti il mio capitolo della serata si riapriva quindi con un nuovo corso, nuove persone. ... 


Di seguito traccia del XX° capitolo:
Cap. 20
 Il Principe trovato nel cammino di una notte

Il tuo nome è meraviglioso; quando ti chiamo con quel nome, guardandoti nei tuoi bellissimi e luminosi occhi specchio della tua dolce anima, lo ritrovo sempre presente in tutte le tue vite, e sento il tuo cuore che esplode, la tua energia fortificata da anni di fatiche, i tuoi pensieri e sogni, chiari come lui. Quel nome urlavo, percepito il tuo profumo e il leggero soffio del tuo dolce respiro, in memoria di quei lontanissimi ma vicini, meravigliosi momenti di un’altra vita, che poi ci pugnalarono e trafissero insieme, morti abbracciati avvolti in un bacio con la spada conficcata alle mie spalle, nella mia schiena, non sufficiente per proteggerti, e vederti così morire con me stringendoti forte. Occhi che si socchiudevano insieme ai miei, mentre ti promettevo che non sarebbe finita, mentre tu perdevi le forze, la testa ti andava indietro con un lieve lamento, riuscivi poi ad abbassare sulla mia bocca il mento, mentre andavi via con un ultimo sforzo la tua fronte sulla mia, come a dirmi: “ne sono sicura, ma non dire più niente, fa che ti senta per un ultimo momento”; io ti baciai un’ultima volta, poi il dolore oscurò tutto, morii anch’io subito dopo di te, e la mia anima perse la memoria e si perse nell’infinito cielo, tra le nuvole e poi tra le stelle.  ... continua...


Di seguito traccia dell'ultimo dei ventuno capitoli del libro:
   
Cap. 21
L'odore delle rose 

Dalle stelle qualcosa ci muove verso le cose belle
qualcosa ci attrae sempre verso quelle
con estrema delicatezza ci avviciniamo al loro profumo
per prenderne l’essenza 
desideriamo coglierle; ma no, riflettiamo,solo coglierne tutta la loro sostanza
essere da esse avvolti nel loro arcobaleno di colori 
continuiamo a non sfiorarle, aumentando i nostri dolori, quella reazione chimica, se la tagli vola via e così con fatica abbiamo avuto
la sensibilità di toccare solo il suo profumo, 

non sfiorarla, ma lasciarla vivere e così sia;
senza toccarla, senza scoprirla, scolpirla, solo per reciderla. 
Arriviamo a coglierne l’essenza,
lasciarla vivere, lontano dal desiderio di possesso,
tutti persi in quell’ego che è solo la nostra malattia, un ossesso,

scoprire poi l’incanto che riempie,
che è nobile, farne senza, 
lasciar la sua vita fluire libera su quei monti, e ci sentiamo persi, 
ci sentiamo stolti ma senza sfiorarla, la bellezza, ne rimaniamo poi avvolti, in un arcobaleno,
un tramonto, che ci fa risorti;
guardiamo e percepiamo, tutta la bellezza, tutta l’ energia, tutto l’amore ci ha avvolti,
e non potendo descrivere cosa sia,
il dolore di non averla colta, quella rosa, è poca cosa;
di fronte alla pienezza che sprigiona un mistero, .... 
 



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