I Voli liberi di San Miniato - Alessandro Niccoli



Rientri alla sera in centri storici antichi, silenziosi e speciali, pensando che chiudendosi la porta alle spalle, si chiuda la tua vita su quel mondo dal quale fuggire, per aprirla in quello ovattato di casa, fatto di tanti oggetti inermi. Chissà perché, invece, inaspettatamente in quelle antiche vie ti appare un'atmosfera che con le parole non si può descrivere, e gioisci pur incurante e impotente, solo per assistere a consuete, ma impensate, trascendenti, magiche scie di vita. Sai che una fotografia è solo utopia dell'uomo moderno, presuntuoso di possedere arte e natura con la sua tecnologia, vista su uno schermo, dimentico della sua limitata capacità di rispetto della spontanea bellezza, studiata da maestra natura, da un lato, e dall'uomo, quello saggio e lungimirnte dall'altro; uomo però non abbastanza saggio da non ritrovarsi oggi smarrito, quell'uomo di pensiero e di compasso, oggi divenuto piccolo, solo al materiale interessato, molto, molto basso. Quell'uomo che la bellezza non cura, che vede proficuo il cemento grigio, non natura, non antiche mura, che gli basta fotografarla e annunciarla su un social o su un giornale credendo di salvarla.
La annuncia, la bellezza, la natura e la cultura, poi non la comprende, la ghettizza, ne sta lontano, rinchiuso da solo nelle sue sacre scatole di ferro a motore, per arrivar intatto nelle sue botole, solo carne intatta, ma sogni di carta, pensieri di cellofane, empio di sé, esseri che si credono felici, ma senza anime, incoscienti e infelici. Solo il cittadino o il forestiero dallo sguardo e udito non svilito, ma sopraffino, ammira e comprende le fantastiche linee di un’antica architettura, mura che si infrangono nel calore del tramonto primaverile; frantumi di canti speciali, che in quel silenzio di una sera serena, baciato da luce morbida, rotto solo da rondoni impertinenti, che non fanno mirare in una foto il loro moto, dediti a roteare su quelle nostre amate botole e scatole, per creare suoni stridenti inneggianti a ricordarci amori di mondi lontani e suadenti, a cullare quelle naturali geometrie di vita libera, da esprimer per dispetto dentro alle nostre antiche piazze, ai nostri schemi, voli liberi e incuranti delle nostre care inquietanti scatole, dopo il fumo rilasciato in aria, garbatamente parcheggiate. Tutto, in una incredibile perfetta simbiosi, forse voluta da quella mano dell'uomo, che edificando tali scorci, tetti e geometrie, immaginava e predisponeva questo perfetto connubio tra linee umane, allora non insane, e perfette incomprensibili geometrie della natura. Era un connubio per un canto acceso, per un grande teatro, che anticamente cercava la bellezza e l'amore, ma che infine trovò guerra e distruzione. Solo il tempo riportò a trionfare in quei luoghi la pace della sera, qualche rondone, lui si capace di sognare e parlar d'amore. Era tutto stato previsto per l'uomo di allora, del medioevo e dello stilnovo, l'uomo dal pensiero dedito solo ad osservarla, la sua natura, la bellezza, per ricrearla con suoi fantastici ritocchi, un gioco d'arte, per lui contemporanea.
 Ogni arte, nel suo tempo, contemporanea lo è stata, e quella lì, con quel buffo teatro di liberi volteggi, forse a San Miniato, era innata.                                                                                   

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