"L’uomo del Futuro" tratto dal Libro "L'odore delle Rose" - Alessandro Niccoli- Ed. 2019 Europa Edizioni

Cap. 1
L'uomo del Futuro

Ieri è stata una serata particolare, preludio dell’inizio di un cammino, e tutto inizia con uno dei miei soliti ritardi cronici! ero entusiasta della serata che di lì a poco mi avrebbe atteso. era tutto programmato, mi sarei divertito molto, avrei guardato negli occhi per pochi attimi una donna dall’anima antica. Avevo già deciso di abdicare ad una riunione politica dove, con cari amici visionari, si organizza il cambiamento radicale del mondo in una località semisconosciuta allo stesso pianeta, smarrita in mezzo alle campagne toscane, tra colline e daini, per andare a fare una lezione di tango argentino a Firenze da Graciela Rostom, il cui sguardo e maestria di una vita di danza, già mi mettono in ottima impostazione e di buon umore, oltre la quotidiana prigione, che cerca sempre di imbavagliare le mie cellule, frenetiche come libellule.

Sono le 5 del pomeriggio, immerso nel mio lavoro in attesa di partire alle 7, sennonché arriva d’improvviso nel mio studio legale un vecchio conoscente che mi chiede di ascoltarlo per fare una causa contro i poteri forti del mondo; lo guardo quasi sconvolto, visto che avevo poche mezz’ore di tempo per finire due ricorsi; dopo un po’ che ascolto il suo racconto e i suoi inviti a visionare siti di fantapolitica, mi balenano per la testa varie soluzioni sul come chiudere il discorso. Non che non abbia a cuore la problematica della prepotenza delle multinazionali, o delle associazioni massoniche mondiali che, con i loro banchieri, tentano giorno dopo giorno di rosicchiare le nostre democrazie e conquiste, fondate su solidi principi di separazione dei poteri a garanzia dei nostri diritti umani, ma le proposte del vecchio amico non le posso accettare, pur dovendole ascoltare! Le vecchie amicizie, quando chiedono andrebbero soddisfatte. Ma dico veloce a me stesso: ‘Le amicizie troppo vecchie e abbandonate per totale divergenza di vedute, vanno soddisfatte?’. Concludevo che non fosse proprio giusto pagare un pegno non dovuto, ma lo stavo già pagando: la seratina aveva a mia insaputa iniziato a mutare direzione. erano proposte davvero oltre ogni mia possibilità di ascolto, ma beffardamente mi imponevano un distacco da me stesso. Le vecchie amicizie vanno comunque pagate, anche se non vuoi. L’ho pagata. Forse nel- la mia fretta gli davo una giusta soluzione, meglio non potevo fare per scuotere l’amico. Così successivamente capii, che a volte occorre scuotere forte. Gli dicevo: “Guarda chequello che tu dici, ovvero che lo Stato sarebbe una società per azioni creata in stanze segrete, e che tu non lo riconosci, come pure non riconosci il potere di un giudice, richiamandoti a principi sovranisti, oltretutto, si scontra contro i miei lunghi studi in legge, e con i miei valori di una vita non propriamente di destra, per cui anche volendo, politicamente,non potrei accettare l’incarico”.

Ma lui, a tal punto si faceva più invasivo, dall’entusiasmo inventato da chissà quale stregoneria; invasato, assumeva toni aggressivi e autoritari, invitandomi ad aprire altri siti internet a comprova della verità delle sue asserzioni (‘il mondo del sapere moderno’, mi dicevo, girando la testa alla finestra... sigh), di talché decisi di optare per la soluzionepiù drastica, tra quelle prima pensate come lame a mia difesa: “Sante, ti posso solo consigliare di andare da uno psichia- tra”. Niente da fare, come nulla fosse continuava a insistere in modo ancora più eccentrico e agitato, con gli occhi pieni di esaltazione dicendo a voce quasi incontenibile e sempre più autoritaria (a me che non riesco ad accettare da sempre l’autorità urlata, e con una brava psicologa che non ha potuto che prendere atto di questa mia rigidità ineliminabile, cementificata dal tempo) che sì, sarebbe andato dallo psichia- tra, ma che voleva un ricorso contro il Comune di residenza per essere riconosciuto come individuo sovrano, al di fuori dello Stato, titolare del diritto di cambiare nome e cognome e di non pagare le tasse a uno Stato che non riconosce. A tal punto, non sapendo come uscire da quella situazione grottesca, frutto del caso o della moderna schizofrenia da elettro- informazioni magnetiche, inconsapevole che il mio entu- siasmo era ormai semi-dimenticato, come della piega che avrebbero preso le prossime 24 ore, tirai fuori dal cappello l’argomento di rottura, tra tutti quelli che avevo poco prima pensato come repertorio utile per uscirne nel più breve tempo possibile, e conoscendo da vecchia memoria l’abitudine dell’amico a fumare erba alla sera, gli dissi: “D’accordo, sono disposto ad ascoltarti e a lavorare su questo caso, solose tu mi garantisci che non fumerai più canne per tre mesi, dopodiché me ne occuperò”.

Fu così che riuscii a farlo andare su mille furie, cosa che quando voglio è per me la più facile da ottenere con chi mi parla addosso, e quindi farlo desistere dalla sua temeraria azione di convincimento. Si alzò di colpo dalla sedia posta di fronte a me in modo impulsivo, agguantò i fogli in un nano secondo e andò via urlando, mandandomi al diavolo, inveendo contro di me e contro tutti sino a fuori dal mio studio e fino in fondo alla strada. Le sue invettive ad alta voce, mi risuonavano come un tango che si riappropriava di me, inconscio però di averlo quella sera ormai perso. Si era ristabilita la pace nello studio, dopo venti minuti di discussione surreale. Purtroppo, la mia concentrazione era scesa al minimo, tanto che mi ero fatto l’idea che la lezione di tango a Firenze fosse alle 10, mentre invece era alle nove. Quindi, con la mia ritrovata calma, finii i miei due ricorsi, andai alle 9 al circoletto davanti al mio studio e chiesi alla ragazza dagli occhioni celesti e tristi, ove vi veleggiava sempre un vascello in cerca di un’isola buona, pieni di speranza e voglia di andare avanti, di scaldarmi due pizze... annuì. Dopo un minuto nella mia mente si accese una lampadina: la lezione è alle 9 a Firenze, non alle 10, e adesso sono le 9! Porco diavolo, da qua a Firenze impiego minimo 40 minuti; accidenti a lui, ce l’ha fatta a rovinarmi la serata! ecco che l’amicizia, qualunque sia, anche andata via, chiede pegno! “Scusa”, dissi alla ragazza, “ho ricevuto una telefonata, sono a cena fuori, le pizze non le prendo più”.

Quegli occhioni tristi e lucidi fanno un gentile cenno di sì, tanto gentile che i miei nervi si riassettano subito al loro posto. Incredulo di come la dolcezza di una donna in fuga da misteriose oppressioni possa riuscire a fare questo effetto. Poi, un’altra idea attraversa la mia mente: ‘Perché allora non andare alla riunione politica?’.

“Scusa, mi rimetti gentilmente le pizze in forno, non vado più a cena”, e i due occhioni impassibili, sempre più lucidi e ancor più malinconici, ma ora accesi, mi ridicono: “Sì”.

Mi richiedo: ‘Come fanno certe persone a dirti tutto e a darti un calore che tutto cancella solo con gli occhi? Fossero così i miei clienti, amerei davvero in pieno il mio lavoro!’.

Dopo dieci minuti il mio capitolo della serata si riapriva quindi con un nuovo corso, nuove persone. Dei compagni dalle parole in sintonia, piene di vigoria, amici, battute, risate di fronte ad un competitor politico dal fare renziano, con vari tic, camicia bianca, promesse elettorali imparate a men- te, orologione placcato in oro, o in oro vero, non si è capito, e le nostre risate si smorzavano negli occhi; tanto che dovetti dire loro di allontanarsi dal dibattito dov’era presente anche il nostro pupillo di ‘Je so Pazz’, forza politica incredibil- mente romantica e audace... solitaria, che cammina in una valle isolata, su un percorso stupendo in buona compagnia, lontano dalla follia generale di inutili parole. Campione di lotte politiche votate alle persone semplici e ultime. “Allon- taniamoci” dissi loro, per non sembrare scortesi con la platea e gli oratori.

Gli amici mi dicono: “Ma perché ci siamo allontanati?”.

Il sollazzo è troppo elevato! “No, è che volevo raccontarvi una storia che mi è successa ultimamente: mi sono innamorato di una giovane donna, e dopo giorni di sguardi, corteggiamenti, rose, le ho chiesto con parole velocissime di uscire; lei mi ha detto: ‘boh, forse!? Chiamami tra un’ora’. Dopo un’ora, col cuore in gola e il battito a mille, l’ho chiamata e lei ha risposto subito: ‘la mia ragazza non sarebbe troppo felice’. Ci aveva ripensato!”. Nonostante la risposta, quell’ora di attesa vissuta era stata la più intensa della mia vita, osservavo il cielo e mi sembrava per la prima volta meraviglioso e brillante, gli sguardi delle persone che in- crociavo mi sembravano amichevoli, mi salutavano, dopo del tempo in cui mi ero sentito invisibile, i cinguettii degli uccellini erano musica. Finito il racconto, i miei amici erano ancora più increduli che mai, e piegati dal ridere. Il mio tentativo di farli smettere era miseramente fallito! Allora dico loro: “In realtà si tratta del testo di una canzone di Federico Fiumani dei Diaframma; la mia storia d’amore è simile, ma ha dei risvolti molto più complessi e inimmaginabili, è falli- ta ancor prima di nascere, e ora ho davvero solo voi! Tanto che ho dovuto sintetizzarvela con la storia di Federico che vi ho raccontato”.

La serata stava passando inaspettatamente nel migliore dei modi, e dimentico del copione del tango, Fabrizio mi chiede se prendo un caffè alla livornese, penso che anche se il caffè di solito non mi fa dormire, e che l’indomani avròun’udienza a Lucca alle 9, che significava svegliarsi alle 6.30, erano ancora appena le 11.00, e col caffè alla livornese, pieno di acquavite e rum che smorza l’effetto sveglia, ci si può stare. Lo presi! Avevo sbagliato. Altro bivio verso l’uomo del futuro. Non smorzò proprio niente, anzi, mi amplifi- cò di cinque volte l’effetto del caffè, mi tolse letteralmente il sonno, e mi addormentai alle 3.30. Nel frattempo, cercando di dormire, esploravo tutti i pensieri dell’uomo moderno (si fa per dire), non trovavo delle risposte, ogni tanto accendevo la luce, il telefono, poi rispegnevo tutto, pensando che spen- gendo, automaticamente le onde magnetiche svanissero; mi rituffo nelle mie domande, nei miei tentativi di sogno, di im- maginare cose belle, e quel volto che mi aveva rapito portandomi molto lontano, per mano, a passeggiare sul mare senza dire nulla, nulla di nulla... solo occhi di mare, con tuffi nel suo profondo, antico e misterioso viso. I tentativi fallisco- no, i bei pensieri sono ora di nuovo svaniti, riaccendo, di nuovo spengo tutto. Il mio rifugio nella modernità e nella tecnologia mi dà ancora più vuoto, un vuoto freddo, cerco di sognare, sto scendendo troppo in fondo al mare, quegli occhi mi hanno rapito e mi spingono a cercare l’eterno, sul fondo, troppo in fondo. Tanto che ora ho anche freddo, mi alzo e prendo una coperta in più, è aprile, mi copro, tremo, il fondo del mare mi avvolge e mi prende. Di colpo, alle 6 gli uccellini mi ricordano che ho dormito qualche ora, che sono vivo, in quella realtà quotidiana che cerca di imporci una modernità inutile; mi ricordano che comunque, pur essendo le 6, sto molto bene, ho fatto dei sogni particolari, li vedo, un gatto cresce su un albero, io sono triste, poi riesce a staccarsi e fugge, io rido contro chi lo aveva piantato per tenerlo lega- to. Sogni maturati dal profondo mare imperscrutabile che li alimenta, forse quel mare blu dove voglio sempre affondare per annegare nel silenzio degli abissi, in cerca della libertà. Con calma scrivo i miei sogni davanti a un caffè, dato che sono molto significativi, la colazione è lunga e intensa; la mia gatta Topolina, che mi attende sempre, corre per attirare la mia attenzione... poi doccia con musica per riconciliarmi davvero col mio mondo; infine, da presto che era, riesco a fare tardi! Ho l’udienza a Lucca alle 9; un caso umano da ben gestire. Arrivo appena fuori la città, parcheggio e inizio a camminare lungo le mitiche, stupende mura di Lucca, ma inspiegabilmente, come mai era successo prima, mi perdo,non trovo la porta di ingresso, cammino. Le mura non finiscono più, finché non trovo un cunicolo d’ingresso sotterraneo mai visto nella vita, lo prendo... mi trovo immerso nel medioevo, lo percorro per cinque minuti a passo veloce neisuoi 300 metri tenebrosi, fatti di energie infinite e presenti, 5 minuti durano un’immensità, perso nel tempo; mi ridanno il riposo.

Dimentico tutto il resto, la fretta, il tango, i sogni, il male- detto telefono, sono immerso nella bellezza di quell’antichità che ci ha tracciato un cammino, ma il Giudice mi aspetta! Vedo la luce, riesco a entrare in città. Arrivo alle 9.20 in aula, ma prima di me c’è un divorzio dai litigi folli. escono dall’aula dopo venti minuti e lei, donna distinta, urla controil marito, un ragazzone grosso e grunge, fiero di nascondere i suoi redditi e di negare gli alimenti a tre figli. Lei urla scalmanata, lui si fa bello con una falsa calma da evidente bevitore, mostrata sorridente al Giudice, appena uscito dall’aula, serio e sbalordito; altri due occhi chiari e profondi da mostrare tutto, accogliere tutto e negare tutto, alto e signorile... non sa cosa fare. Io gli dico subito, incurante di aver dormito solo due ore, inconsapevole e incosciente di quali impulsi mi muovevano, forse proprio il mare: “La calmo io”.

E lui: “Ma la conosce?”.

“No, ma è un essere umano come me, veniamo da un mondo antico”. La raggiungo, la guardo, lei si calma e va via con le lacrime agli occhi, piangente come un cigno ferito che si lascia affogare davanti all’uomo, per dimostrargli con eleganza che la morte è vita.

Il Giudice mi accoglie nella sua stanza, discutiamo il mio caso, emette sentenza e mi ringrazia per il gesto, mi stringe la mano: “A presto”. Torno indietro, stavolta passo sopra le mura, guardo la luce del sole, trafitto e rigenerato dai suoiraggi, mi siedo, penso, non provo stanchezza ma illuminazione.

Decido di tornare sotto le mura per fare il percorso in- verso; con stupore immenso trovo l’uomo del futuro, che all’andata non avevo visto. era alle mie spalle. Uno stupendo uomo medievale incappucciato, dallo sguardo intenso, un eremita saggio, un frate bellissimo fatto di foglie di canne di bambù intrecciate, grande come l’antico cunicolo. era lui che all’andata osservava me, mentre frenetico, intruso e attratto, incuriosito, passavo veloce, aveva capito che mi sentivo ospite di un mondo non più mio. ora che lo incontro davanti a me all’improvviso, esterrefatto da lui e dai suoi occhi assenti e profondi, dove tutto è racchiuso, ci guardia- mo in faccia. Sì, era l’uomo del futuro, era il sogno di un ar- tista giusto, un artista dei giorni nostri, di quelli che hanno voluto dimenticare il regresso della tecnologia. Quell’uomo mi osserva, mi calma, mi dice di fermarmi, mi prende le spalle, le stringe forte, mi scuote, mi offre una strada nuova, vera e giusta. Ci penserò poi, una volta fuori. Quell’uomo era colui che gli antichi, dal pensiero platonico angelicato, avevano immaginato per come saremmo divenuti noi dopo mille anni: esseri stupendi. È colui che l’artista moderno ha pensato circa la loro immaginazione; loro immaginavano l’uomo giusto. Loro si sbagliavano. Ma l’artista era anda- to oltre se stesso. La descrizione della loro immaginazione gli era scappata di mano, era troppo vera. La creazione di quell’opera era la realtà reale di allora e di ora. Grande e pura immaginazione di pochi antichi uomini, ancor oggi nostri messaggeri. Immaginazione ormai in noi assente, sco- nosciuta ai più, sostituita da un vuoto digitale che crediamo Dio. Immaginazione che silenziosi pensieri medievali dedi- ti all’amore romantico, all’amore per una donna misteriosa e incredibile, generatrice di vita, ricercavano di giorno in giorno verso una verità assoluta. Dediti alla perfezione di un animo umano nato per altro dall’esser bruto, come qualcuno andava in giro dicendo; immaginazione donataci con lunghi, estenuanti cammini nello spirito e nella bellezza delle energie della natura, in costruzioni spirituali nascoste, rac- chiuse sotto quelle stupende mura. Costruzioni di pensieri immense per difenderci nel futuro, per darci dei ponti oltre le nostre mura mentali di oblio, per dare differenti strade luminose da seguire, a noi, per come loro ci avevano sa- pientemente immaginato, esseri ancora troppo deboli. ‘Non si erano sbagliati’. e l’uomo del futuro è lì che ci osserva dicendoci, con quel volto e con quegli occhi profondi, che siamo spirito, che il mare lo si può anche oltrepassare, senza annegare, che uomini da terre lontane lo fanno, che lo hanno capito prima di noi. Ma noi sapienti, questo non lo possia- mo accettare... nel nostro immenso moderno vuoto diciamo che “non si sopravvive su zattere nel mare”. Lui ci guarda, e con parole silenziose e vigorose dall’anima, dai suoi occhi profondi, fermo, ci scuote molto forte; un uomo immenso, per il suo lungo cammino, sicuro di non averlo fatto invano. Ci entra nell’anima smarrita: “Se volete camminare nella bellezza, siate vivi e tenetevi per mano”.





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