Cap. 20 "Il Principe ritrovato nel cammino di una notte" tratto da "L'odore delle Rose" -Alessandro Niccoli- Ed. 2019 Europa Edizioni


Cap. 20

Il Principe ritrovato nel cammino di una notte


Il tuo nome è meraviglioso; quando ti chiamo con quel nome, guardandoti nei tuoi bellissimi e luminosi occhi specchio della tua dolce anima, lo ritrovo sempre presente in tutte le tue vite, e sento il tuo cuore che esplode, la tua energia fortificata da anni di fatiche, i tuoi pensieri e sogni, chiari come lui. Quel nome urlavo, percepito il tuo profumo e il leggero soffio del tuo dolce respiro, in memoria di quei lontanissimi ma vicini, meravigliosi momenti di un’altra vita, che poi ci pugnalarono e trafissero insieme, morti abbracciati avvolti in un bacio con la spada conficcata alle mie spalle, nella mia schiena, non sufficiente per proteggerti, e vederti così morire con me stringendoti forte.

Occhi che si socchiudevano insieme ai miei, mentre ti promettevo che non sarebbe finita, mentre tu perdevi le forze, la testa ti andava indietro con un lieve lamento, riuscivi poi ad abbassare sulla mia bocca il mento, mentre andavi via con un ultimo sforzo la tua fronte sulla mia, come a dirmi: “ne sono sicura, ma non dire più niente, fa che ti senta per un ultimo momento”; io ti baciai un’ultima volta, poi il dolore oscurò tutto, morii anch’io subito dopo di te, e la mia anima perse la memoria e si perse nell’infinito cielo, tra le nuvole e poi tra le stelle.

Quel nome portatore di un’anima fuggita, oggi ritornata in te, solo sussurrato piano da me, dopo aver ritrovato quella invincibile spada, usata per combattere quella che in vite passate ci trafisse, per un volere forse divino, avendo per noi il divino, dovuto concepire il male. Quella spada divina che ci fece capire qual era la nostra forza e la nostra essenza da non gettare mai più, una forza che nessun’altra spada avrebbe più potuto ucciderci di nuovo; quel nome vuol dire una sola cosa: “amore”.



È così che iniziò il mio sogno in quella lunga notte sotto un cielo stellato, e una luna grande e bianca, sulla via Francigena, in un tratto meraviglioso, in un vigneto che dalla Pieve di Coiano porta fino a Gambassi.

Questo l’inizio del lungo e incredibile sogno di quella notte ispirato da una magica enorme luna piena, che pareva di poterla toccare con un dito, circondata da milioni di stelle che sfioravano e scaldavano la tua pelle. D’un tratto in sogno vedevo una vita passata in cui devo essere stato pagano e blasfemo, senza alcuna coscienza, i cui ricordi a volte mi provocavano paura, quando in sogno, nel baciarti con un fare che non è altro se non fare l’amore, mi vedo così completamente diverso, dolce, attento a non farti male nello stringerti troppo, attento a seguire le tue emozioni in un dolce e lento walzer di lucciole intorno a noi. Il confine con la realtà, in quel sogno era incredibile, veramente sottile. Nel sogno, adesso sto parlando con te; in quell’altra vita lontana divenni infine un forte e valoroso cavaliere, e da quel che ora tu mi stai dicendo, oggi è rientrato in me.

Ti parlo di un sogno dove facevo, davanti a delle persone che mi scrutavano, una esibizione sessuale con una bellissima prostituta orientale, e poi dicevo loro: “Avete visto? È semplice, che problema c’è, perché siete ossessionati dal sesso, senza chiedermi dell’amore?”. Poi mandavo tutti al diavolo, ma in modo gentile e rilassato, dicendo loro: “Ora potete andare via”.

Ti parlo ancora. Ti faccio paura?

Non devi, quella vita passata emersa in sogno, mi ha fatto molto molto male, ho permesso che venissi uccisa. A volte cadevo, nel senso che era più forte di me guardare una donna, rapirla e poi lasciarla andare via dopo che lei mi aveva amato, per arrivare quindi a perdere te e a perdere infine me stesso. 

Quando poi, nell’odissea del vagare per lungo tempo, nel mio mare ormai di tristezza, una bella maga Circe infine mi tratteneva con l’inganno, mi drogava e ipnotizzava, col mio ultimo scampolo di volontà distrutta, trovata la forza di riaprire gli occhi e capire cosa mi tratteneva, sostituivo l’acqua della mia caraffa al vino alterato da magiche pozioni, che buttavo senza essere visto; fuggii, e dopo altro lungo e lungo vagare in una infinita steppa desolata, sotto quegli stessi milioni di stelle che in quella notte di sogno mi avvolgevano, in disperata e stremata ricerca di te, allo sfinire delle mie forze trovavo dell’acqua, e poi, dopo altro lungo camminare in quel deserto, che pareva il deserto della mia anima persa, un villaggio e del cibo.

Riprese le forze, proseguii il cammino, e nella notte seguivo un flebile raggio di luce, lasciando alle mie spalle le antiche sconfitte avute dal male, e mentre la mia coscienza si ricostruiva in me, durante il lungo camminare durato mesi e poi anni, scoprivo che le mie sconfitte col male, in realtà non si stavano trasformando in altro che in vittorie contro quel male stesso; vittorie sempre più massacranti, sempre più violente. Infine, passo dopo passo, alla ricerca di te, alla ricerca di un senso in me, alla ricerca di quell’anima che iniziavo a percepire, arrivavo a vedere, in cima ad una montagna, posta nel mezzo del grande deserto, una meravigliosa e lucente spada. estrattala subito senza esitazione, ormai con una forza che mi poteva essere stata data solo dal cielo, dal mio camminare, dal mio ricercare, mi ritrovai nel mezzo del rudere di San Galgano, quando lo schifoso diavolo riapparve un’ultima volta per cercare di avere la meglio. Ma presentatosi al mio cospetto, ormai privo delle sue infinite maschere, quando santo, quando cavaliere, quando saggio, con la ignobile spada di ferro, e con la stoltezza disperata di colui che gioca l’ultima e svelata carta, circondato da bellissime donne svestite e sorridenti, le quali non erano altro che i suoi malefici discepoli mascherati, mi disse: “Posa la spada, vieni con noi, vivrai sempre nel benessere e piacere”.

Neanche aveva finito di parlare, che subito, in un lampo, violentemente lo trafissi, mentre lui cercava di colpirmi, e lo uccisi, con tutte le donne che erano con lui... spietatamente, con tutta la rabbia e con tutto il bene che avevo accumulato nel mio lungo camminare! Insieme discesero negl’inferi per non rientrare mai più. Poi iniziai a gridare il tuo nome e a cercarti, non sapendo che stavi facendo altrettanto, mi chia- mavi da tempo, mentre la mia spada attraeva la tua energia, lanciando segnali di se stessa. Ti raggiunsi, ti strinsi forte, ti sollevai il mento, che una vita fa – con la tua testa indietro a causa del violento dolore secco e dilaniante – si appoggiò sulla mia bocca dicendomi ti amo con parole calde di sangue e occhi di amore in un delicato sorriso mentre si socchiudevano, si socchiudevano tra le stelle che su di noi vegliavano. Come promesso quella volta, in quella lontana vita, ti ritrovai, ti baciai senza respiro per lungo tempo, un bacio come mai ci eravamo dati; e riprendendo a camminare, andammo via per il nostro mondo, con la nostra anima in noi, ad ammirarlo rinati.

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